Lavoro da remoto: non possono obbligarti a presenziare in azienda | Traguardo storico per i dipendenti
Lavoro da remoto e licenziamento: la recente sentenza della Cassazione cambia tutte le carte in tavola, il licenziamento non sussiste.
Negli ultimi anni, il lavoro da remoto ha assunto un ruolo sempre più centrale nelle dinamiche lavorative, offrendo una flessibilità che molti dipendenti apprezzano.
Con l’avvento della pandemia, sempre più aziende hanno adottato la modalità smartworking o ibrida, ma negli ultimi tempi questo trend è in calo, e i lavoratori vedono sempre meno flessibilità da parte dei datori.
Recentemente, la Cassazione ha emesso una sentenza che affronta una delicata questione: il lavoro da remoto può costituire giusta causa di licenziamento?
Analizziamo da vicino il caso che ha portato a questa decisione e le implicazioni per il mondo del lavoro.
Con il ricorso il licenziamento viene considerato scorretto
La sentenza della Cassazione è scaturita da una controversia tra una società cooperativa e una dipendente che svolgeva mansioni di supervisione e controllo dei cantieri. Il datore di lavoro aveva licenziato la dipendente, adducendo motivi quali la sistematica violazione delle disposizioni aziendali sull’orario di lavoro, l’esecuzione incompleta e discontinua delle mansioni durante l’orario di lavoro e l’abuso della fiducia del datore di lavoro.
La società aveva presentato ricorso in Cassazione dopo che la Corte d’appello di Bologna aveva già respinto la sua richiesta di accertare la legittimità del licenziamento. Tuttavia, la Suprema Corte ha confermato la decisione della Corte d’appello, ritenendo infondate le doglianze della società. La Corte di merito aveva sottolineato che la dipendente poteva tranquillamente svolgere il suo lavoro da remoto, senza compromettere la qualità della sua prestazione. Il Tribunale aveva già concluso che la dipendente poteva lavorare in modo diligente da casa, senza necessità di presenza fisica sul luogo di lavoro.
Giusta causa solo se il datore può dimostrare l’inadempienza
La sentenza evidenzia che alcune mansioni assegnate alla dipendente non richiedevano la sua presenza fisica e che, pertanto, il suo lavoro poteva essere svolto da remoto. Inoltre, la Corte ha notato che la società stessa aveva fornito un elenco di attività che non richiedevano la presenza fisica della dipendente, suggerendo che alcune delle attività contestate potessero essere state svolte regolarmente anche durante il lavoro da remoto.
Secondo la decisione della Corte, la giusta causa di licenziamento sarebbe stata fondata solo se la dipendente avesse effettivamente mancato di risultati o se fosse stato dimostrato che il suo tempo era stato dedicato a attività non compatibili con il lavoro, a tal punto da escludere la prestazione oraria. La sentenza della Cassazione rappresenta un importante precedente che rafforza la posizione dei lavoratori che scelgono il lavoro da remoto, dimostrando che tale scelta non può essere automaticamente considerata giusta causa di licenziamento. La decisione sottolinea l’importanza di valutare attentamente le circostanze specifiche di ogni caso, considerando se il lavoro da remoto sia compatibile con le mansioni assegnate e se il dipendente mantenga una prestazione adeguata.